Fotoamatore dal 1985, ho coltivato per anni la passione per la fotografia. Come molti fotoamatori, ho scattato centinaia di foto di viaggio ma la categoria che preferisco è il ritratto perché mi piace cercare, attraverso l'obiettivo, il contatto di uno sguardo, lo scintillio di un attimo di simpatia e complicità.

L'avvento commerciale del Digitale è stato un momento importante per la mia attività di fotografo amatoriale anche se la conversione analogico-digitale di suoni ed immagini era già un tema centrale della mia attività professionale sia da un punto di vista tecnico (specificatamente all'elaborazione della voce umana e del parlato) sia da un punto di vista culturale per le implicazioni della digitalizzazione sull'automazione d'ufficio.

La fotografia digitale a prezzi sostenibili ha rappresentato per me la possibilità di entrare virtualmente in quel laboratorio fotografico che, fino ad allora, costituiva un'importante barriera tra me e le mie foto. In particolare ho potuto accedere a quel mondo magico che è il B&N e che è completamente inaccessibile attraverso la mediazione del laboratorio "sotto casa". Imparando a convertire in B&N le foto digitali, ho poi imparato anche ad interagire con i laboratori professionali per il B&N analogico che comunque ancora scatto.

Questo è stato il grande merito del Digitale: consentirmi di imparare e sperimentare tecniche di elaborazione che comunque hanno effetto anche sul modo di scattare.

Bisogna dire che, in quest'ultima prospettiva, il Digitale è un'arma a doppio taglio: si può rimanere invischiati nel meccanismo dello "scatto a raffica tanto costa poco e qualcosa verrà fuori". Intanto non è affatto detto che qualcosa alla fine verrà fuori e poi provate dopo qualche mese di questa "tecnica" a scattare un rullo analogico: un disastro! Significa che si corre il rischio di perdere la capacità di guardare fotograficamente, di prevedere l'immagine prima di scattare, di crearla nella propria mente prima di cercarla nel mondo.

Ma perché fotografo?

Da qualche parte ho già scritto che "adoro la fotografia, mi dà la sensazione di entrare in contatto con situazioni, cose, persone. Fotografando un evento mi sembra di parteciparvi un po', fotografando un oggetto mi sembra di toccarlo un po', fotografando una persona mi sembra di parlarle un po'".

Per me la fotografia è innantitutto un fatto conoscitivo, un modo di osservare la realtà, interagire con essa, registrarla ed interpretarla; poi un fatto affettivo e personale, un piacere personale quando una configurazione dello spazio e del tempo mi colpisce e attiva in me una qualche risonanza. Questo piacere iniziale continua poi quando vedo e valuto il primo risultato dello scatto (ah, il tuffo al cuore quando apro per la prima volta il file o quando apro la busta dei provini), diventa gioia quando il provino promette e la stampa mantiene le promesse o quando il lavoro di elaborazione estrae l'immagine ormai desiderata; diventa dolore quando invece la tecnica non ha assecondato la fantasia e l'immagine ottenuta mi risulta estranea.

Infine l'esperienza fotografica trova il suo terzo momento (certo non ultimo per importanza ma comunque non l'unico) nell'aspetto comunicativo: quando mostro una foto, voglio che gli altri possano condividere con me il piacere che ho provato e che provo e se ciò non avviene tendo a sprofondare in un mare scuro di depressione o ad arroccarmi in una difesa interiore ed inespugnabile della mia creatura, a seconda del momento .

E' chiaro che in questo processo ci sono due aspetti importanti, assolutamente importanti perchè il piacere possa nascere, salire ed inondarmi: la tecnica fotografica e la capacità di comunicare. Senza di essi, tutto il processo rimane essenzialmente un sogno, un volo intellettuale ma vano, un ripiegamento fine a se stesso. Essi però rimangono solo aspetti, fasi di un processo che nasce nella mia mente e che finalizzo essenzialmente al raggiungimento del mio piacere. Insomma devi innanzitutto apprezzare le immagini che colpiscono il tuo occhio, il mondo che intragisce con i tuoi sensi e con la tua mente; poi con la fotografia, con le sue tecniche e i suoi strumenti, questo piacere lo puoi coltivare, amplificare, modulare e comunicare.

Perché fotoamatore?

Leggendo queste note e guardando le mie foto, qualsiasi "professionista" della fotografia, commerciale, critico, accademico o artista, riconoscerà e bollerà la mia fotografia come fotografia amatoriale... ed io di questa definizione mi fregio e mi faccio vanto.

Io sono un fotoamatore perché

  1. non "mangio" con la fotografia: la fotografia non mi rende anzi mi costa;
  2. non conosco e non applico tutte le tecniche della fotografia ma le ricerco e le affino nella misura in cui io ne ho bisogno e lo desidero;
  3. se mi va, regalo le mie foto;
  4. non garantisco il risultato né in termini di soddisfazione del soggetto né in termini di tempi: chi fotografa con me o si fa fotografare da me, scommette su un'idea, sulla promessa di un piacere e aspetta con la mia stessa ansia di vedere i risultati;
  5. non mi rivolgo a nessun settore di mercato;
  6. quando ci sono altri fotografi, non dico a nessuno "Bene. Scattate prima voi, poi fuori dalle palle, che io devo lavorare..."

Perché si fotografa un soggetto anziché un altro?

A me piace il concetto di sintonia perché in qualche modo richiama il concetto di risonanza: se una pelle tesa viene percossa in un certo modo si producono modi di vibrazione armonica, se un’antenna di una certa lunghezza viene raggiunta da un'onda elettromagnetica di una certa lunghezza d’onda quella è in grado di trasdurre un segnale intelligibile, se “una particolare configurazione dello spazio e del tempo” entrano in risonanza con il mio sentire si produce in me lo stimolo a scattare una fotografia. Sintonia, risonanza sono, per me, concetti “fisici” che quasi hanno punti di contatto con i meccanismi di base della percezione e non implicano necessariamente un giudizio di valore. Possono però diventare un’esperienza molto personale, soggettiva, quando il fotografo fa intervenire anche la sua coscienza, politica, sociale, culturale, e addirittura fa intervenire il proprio bisogno o la propria volontà di comunicare (per spiegare, per denunciare, per documentare,…)

Quindi, secondo me, nella scelta del soggetto da fotografare intervengono motivazioni intime e motivazioni coscienti (tra queste ultime, le istanze di comunicazione).

Personalmente, do preminenza alle motivazioni intime che mi spingono ad interagire con la realtà quando la guardo attraverso e la costringo entro il confine del mirino. In questa fase, la tecnica diventa strumento del mio piacere.

Non vorrei dire secondariamente, ma sicuramente solo dopo mi pongo il problema della comunicazione e comunque mi piace l’idea di avere costruito un frammento di realtà che prima non esisteva, un manufatto (la fotografia) con cui gli altri possono interagire attraverso il meccanismo della risonanza più che attraverso l’analisi linguistica del messaggio veicolato dall’immagine.